Smart working e PMI: da soluzione d’emergenza a strategia per la sostenibilità e per la "nuova normalità". Presentato lo studio commissionato da Focus PMI all'Istituto di Management della Scuola Sant'Anna
Focus PMI, l’osservatorio annuale sulle piccole e medie imprese Italiane promosso da LS Lexjus Sinacta, organizza il 16 giugno 2021, per la sua undicesima edizione, il convegno in diretta streaming "Smart working e PMI: da soluzione d’emergenza a strategia per la sostenibilità", estendendo l’indagine condotta nel 2020 insieme ad imprese partner della Fondazione Global Compact Network Italia alle piccole e medie imprese selezionate da LS. Lo studio, commissionato all’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna, indaga sulla possibilità dello smart working di rendere le città più sostenibili, efficienti e in armonia con l’ambiente, promuovere la qualità della vita, tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, per sopravvivere a crisi di portata globale; riflettere sull’esperienza emergenziale può orientare le imprese verso l’adozione di pratiche più sostenibili, proponendosi come promotori della creazione di smart cities ed ambienti di lavoro innovativi, ma anche favorendo il lavoro svolto nei piccoli centri, rigenerando i territori.
Con il Covid-19, lo smart working è stato esteso, con procedure di semplificazione e sospensione degli accordi individuali, a 8 milioni di lavoratori (vs. 570.000 prima della pandemia): lo strumento, necessario per fronteggiare l’emergenza, sperimentato in massa in un periodo così anomalo, ha rivoluzionato il mondo del lavoro. Sondare punti di forza e debolezza del lavoro smart nelle imprese è al centro della presente indagine, che ha l’obiettivo di svolgere un’analisi dell’esperienza di smart working, al fine di valutare le opportunità di ottimizzazione della gestione delle risorse umane nell’era della digitalizzazione post-Covid.
A tale scopo è stato predisposto un questionario strutturato nelle seguenti sezioni: settore di appartenenza e dimensione aziendale; diffusione dello smart working; driver, barriere, flessibilità; sostenibilità economica: digitalizzazione, produttività, modularità; sostenibilità sociale: human satisfaction, social welfare, gender equality; sostenibilità ambientale: emissioni di gas serra, waste, consumo di suolo; vision. I dati raccolti sono stati trattati in modo aggregato fuori dalla piattaforma per l’elaborazione dei risultati; le risposte aperte sono state riportate integralmente o accorpate per macro-temi (in allegato, la sintesi dei risutati).
All’indagine hanno partecipato 50 aziende. Le imprese coinvolte costituiscono un campione rappresentativo di più del 52% dei codici ATECO; sono coinvolte principalmente attività manifatturiere (36%), attività finanziarie e assicurative (20%), altre attività di servizi (12%), commercio all’ingrosso e al dettaglio (8%) e in misura minore (dal 2 al 6%) attività professionali, scientifiche e tecniche, sanità e assistenza locale, trasporto e magazzinaggio, costruzioni, attività immobiliari, servizi di informazione e comunicazione, attività dei servizi di alloggio e di ristorazione. Prevalgono le PMI (78%, per un totale di 3.330 dipendenti e una media di 88); pochi, invece, i casi di microimprese (6%, con 2-9 dipendenti) e grandi imprese (16%, da 400 a 19.492 dipendenti). In totale il campione rappresenta aziende per un valore complessivo di 29.186 dipendenti.
Durante il lockdown l’84% delle aziende ha adottato lo smart working, seguito dal lavoro da casa (26%) e dal telelavoro (6%); la percentuale media di dipendenti in smart working prima del Covid-19 era pari al 7%; per il 72% delle aziende si è trattato di una novità (0-1% degli occupati in smart working prima della pandemia; principalmente attività manifatturiere, ma non mancano casi di attività professionali, finanziarie e assicurative), mentre per il 4% dei casi era adottato quasi per il 90% del personale (piccole imprese di attività professionali, scientifiche e tecniche e altre attività di servizi). Con il lockdown il tasso di dipendenti in smart working è salito al 58% (dall’1% alla totalità degli occupati) rispetto alla situazione di ordinarietà. Da metà maggio in poi, terminata la fase critica della pandemia, si registra una flessione del dato medio di lavoratori smart (39%), correlata a un ritorno in presenza parziale o totale; in nessun caso si è verificato un potenziamento del lavoro agile, mentre per il 22% dei casi la percentuale di applicazione di tale modalità è rimasta invariata dall’inizio delle procedure semplificate anche dopo il lockdown, con un’elevata percentuale di applicazione (≥70% dei dipendenti in smart working) per il 30% delle imprese.
È interessante confrontare il risultato del presente studio con i dati raccolti nell’analoga indagine svolta in collaborazione con le imprese partner del Global Compact Network Italia (Frey e Loré, 2020); le principali differenze si identificano in questi aspetti:
- il campione della presente è composto da PMI per il 78% dei rispondenti, al contrario dell’indagine precedente con una prevalenza di grandi imprese (75%);
- prima del Covid lo smart working interessava mediamente il 7% del personale nelle PMI (vs. 16% del primo cluster), durante il lockdown è stato esteso al 58% (vs. 66%) e dopo è calato al 39% (vs. 53%);
- i contesti organizzativi di grandi imprese sono tendenzialmente più adatti o adattabili a soluzioni da remoto rispetto alle piccole e medie imprese, che ritengono che siano possibili per un numero poco rilevante di attività;
- la produttività dei dipendenti nell’esperienza di smart working d’emergenza è tendenzialmente invariata (<1%), al contrario delle grandi imprese che riescono a valorizzare il lavoro smart fino a un aumento delle performance del 25%;
- le PMI non riconoscono l’importanza dei driver del lavoro agile, rischiando di non valorizzarlo in termini di vantaggio competitivo, a causa della mancata individuazione delle potenzialità di soluzioni da remoto che si stanno sempre più imponendo come new normal;
- realtà medio-piccole hanno maggior consapevolezza degli spostamenti (60% dei casi) rispetto alle grandi imprese (40%) e distanza media casa-lavoro dimezzata (18 km al giorno vs. 36), ma la consapevolezza degli effetti dello smart working sulla riduzione degli spostamenti durante la pandemia è sensibilmente inferiore (non ne conosce l’impatto l’80% vs. il 57% prima indagine);
- l’uso dei mezzi privati per i dipendenti di PMI è più consistente (76% vs. 53% cluster grandi imprese) e risulta più marcata l’assenza di utilizzo dei mezzi pubblici (38% vs. 10%) e della modalità a piedi o in bicicletta (36% vs. 17%);
- più di un quarto delle PMI ancora non riconosce il ruolo delle imprese nella costruzione di un’economia più resiliente alle crisi del nuovo millennio e solo una minima parte delle restanti è in grado di declinarne l’importanza; le grandi imprese, invece, sono più sensibili al tema e si pongono al centro della transizione, sia nel ruolo di guida di pratiche più sostenibili, sia come promotori del cambiamento di una società che integri l’approccio smart in più declinazioni.
Dall’analisi dei risultati, è possibile raccogliere evidenze condivise da entrambi i cluster:
- Le condizioni estreme presentatesi con il lockdown hanno imposto un cambiamento radicale del concetto di spazio e tempo di lavoro, orientando le imprese verso strumenti di lavoro a distanza come unica possibilità di sopravvivenza (smart working è in entrambe le indagini la modalità d’emergenza adottata da circa l’85% delle imprese);
- L’alternanza delle attività in presenza e in smart working è percepita come elemento fondamentale; la soluzione di 1-2 giorni a settimana di lavoro agile (un modello bilanciato distanza-presenza) premiata come ideale rispecchia altresì l’intenzione primigenia del legislatore, che nella L.81/2017 stabilisce che la prestazione lavorativa debba essere svolta in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali, se si vuol perseguire lo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
- Risulta prioritario preservare la natura relazionale del lavoro: l’alternanza distanza presenza è fondamentale per motivare il team, promuovere inclusione e integrazione, creare connessioni e brainstorming;
- Anche in fase di pandemia si è instaurato un clima di fiducia nei dipendenti, lontano da forme coercitive di controllo e orientato a valutazione delle performance e dei risultati;
- L’investimento in tecnologie digitali è essenziale per stare al passo coi tempi e per le grandi imprese è anche economicamente sostenibile perché incrementa la produttività media dei dipendenti;
- Una progettazione modulare degli spazi aziendali risulta fondamentale: il Covid ha insegnato e imposto le necessità di migliorare l’igienizzazione degli ambienti e garantire un maggior distanziamento; data la maggior difficoltà di gestione dei due aspetti appena citati per coworking e spazi senza postazioni fisse, le soluzioni che sembravano essere la svolta della sharing economy stentano a proliferare nell’era Covid e post Covid;
- Lo smart working è la chiave per bilanciare al meglio vita lavorativa e privata dei dipendenti, che percepiscono maggior autonomia, ma anche più isolamento, una criticità tutta da arginare;
- È ancora necessario operare in direzione di una sensibilizzazione a favore di maggior consapevolezza dell’impatto dello smart working sulla mobilità e sulle città, soprattutto alla luce dello scarso utilizzo di mezzi pubblici o dell’impossibilità di recarsi a lavoro a piedi o in bicicletta;
- L’impatto psicologico della pandemia e la rapidità di diffusione del lavoro a distanza rendono necessarie calibrazioni più accurate dello strumento, che valorizzino le relazioni, ma al contempo abbraccino la possibilità di incoraggiare la riduzione di spostamenti e impatti ambientali connessi, superando la resistenza al cambiamento verso un’era sempre più green e digitale;
- Bilanciamento distanza-presenza, diritto alla disconnessione, formazione, digitalizzazione, supporto e ascolto possono ridurre fenomeni di tecnostress e gender gap;
- Pianificazione per obiettivi, fiducia, responsabilizzazione, digital mindset e change management favoriscono un remote management vincente.
La sperimentazione pandemica della necessità di distanziamento, maggior sicurezza e igiene ha riportato in superficie il recondito e spesso dimenticato benessere dell’uomo in termini di work-life balance anche nella percezione aziendale: risulta essenziale un miglioramento delle attività operative in direzione della flessibilità, alias libertà da vincoli spazio-temporali, evitando i rischi di deriva digitale che fanno perdere la capacità di vivere in un sistema relazionale potenzialmente penalizzato dalla distanza.
Il biennio 2020-21 segna un punto di non ritorno, lo slogan “business as usual is no longer an option” applicato al mondo del lavoro e alla tutela dell’ambiente è urlo di battaglia urgente e veritiero in questo millennio. Un bilanciamento giusto della presenza, una corretta applicazione degli strumenti di comunicazione, una gestione delle risorse umane attenta e motivante, un team coeso e orientato agli obiettivi possono aiutare nel lungo periodo a sopperire alle carenze e difficoltà riscontrate in questo periodo così particolare: creatività, innovazione, razionalità debbono ispirare una programmazione rivoluzionaria di un lavoro premiante, gratificante, inclusivo, competitivo, etico ed ecologico, per costruire da un presente VUCA una società più equa, più resiliente, più tutelata, più felice.