Inizio contenuto principale del sito

  • Ateneo

Verso il 25 aprile. Il contributo degli ex allievi della Scuola Superiore Sant’Anna alla guerra di Liberazione

In occasione dell’80° Anniversario della Liberazione dal nazifascismo, ripercorriamo le storie di alcuni allievi del Collegio Mussolini e del Collegio Nazionale Medico, dalla cui fusione è nata la Scuola Superiore Sant’Anna, che scelsero la Resistenza

Data pubblicazione: 23.04.2025
Torna a Sant'Anna Magazine

Ci sono luoghi che, nell’immaginario collettivo, sono diventati simboli della guerra di Liberazione e della Resistenza al nazifascismo. Paesi di montagna come Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, dove si sono consumati atroci eccidi di civili; città teatro di battaglie cruciali, come Bologna, Firenze o Genova; isole trasformate in carceri, come Ventotene e le Tremiti, dove gli antifascisti hanno cominciato a immaginare e a pianificare un futuro diverso.
A Pisa, uno dei luoghi simbolo della Resistenza suona a posteriori come una beffa per il regime fascista, sia per il nome con il quale era stato battezzato sia per quello che doveva rappresentare nei piani degli alti funzionari del fascismo. È il collegio ‘Mussolini’, istituito nel 1931 e riservato a studenti della facoltà di Giurisprudenza destinati a specializzarsi nel campo disciplinare coltivato presso la Scuola di perfezionamento in studi corporativi. Assieme al Collegio Nazionale Medico, nato un anno più tardi, nel 1932, il ‘Mussolini’ viene designato dal fascismo come luogo ideale per costruire la nuova classe dirigente dell’Italia.
Il disegno però sfugge di mano al regime e i due collegi pisani – che nel 1967 si fondono per dare vita alla Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento, oggi nota come Scuola Superiore Sant'Anna - si trasformano in un laboratorio di idee e di vicende personali che avranno un peso determinante nella guerra di Liberazione e nella transizione repubblicana e democratica del dopoguerra.


Giustizia è libertà: la legge… del partigiano

Sbrogliare il filo rosso della memoria significa recuperare storie più o meno dimenticate, riportare all’attenzione scelte individuali e collettive che hanno permesso di riscattare gli anni bui del regime. Esperienze vive, capaci per molti anni di muoversi nell’ombra e nella clandestinità per poi trovare la propria consacrazione nel periodo della Resistenza. 
Nei due collegi pisani si intrecciano storie e vissuti molto diversi tra loro ma che, sommati assieme, forniscono un completo quadro d’insieme su una generazione di ragazze e ragazzi che ha dovuto scegliere da quale parte stare. 
Carlo Smuraglia arriva a Pisa da Ancona nel 1941, a guerra già iniziata. La sua esperienza di studi giuridici dura solo un anno. Dopo l’8 settembre 1943, Smuraglia si trova smarrito e confuso. Partecipa ad alcune riunioni e decide di non aderire alla Repubblica di Salò, scegliendo ‘la strada degli sbandati’. A fine novembre si unisce a una delle prime brigate partigiane che si formano nelle Marche e qualche mese dopo si arruola come volontario nel gruppo di combattimento “Cremona” del rinnovato esercito italiano. Non avrà ruoli di comando o particolarmente rilevanti durante la guerra di Liberazione ma, nell’immediato dopoguerra, torna a Pisa per finire gli studi e avviare la carriera di avvocato. Nel 2011 diventa presidente nazionale dell’Anpi.

Prima della guerra Smuraglia, per sua stessa ammissione, aveva idee politiche generiche. È proprio l’esperienza al collegio pisano a dargli l’impulso per approdare a una nuova consapevolezza. Diverso invece è il percorso di Raimondo Ricci: figlio di un magistrato, Ricci arriva al collegio Mussolini nel 1939 e fin da subito entra in contatto con l’organizzazione comunista clandestina. 
L’entrata dell’Italia in guerra costringe Ricci a interrompere gli studi. Quando viene chiamato alle armi, frequenta l'Accademia Navale di Livorno e diviene ufficiale di complemento della Marina. La svolta arriva con l’armistizio: Ricci non risponde ai proclami della Repubblica di Salò e si dà alla macchia, contribuendo a formare il primo nucleo di una brigata partigiana sulle alture del monte Faudo, sopra Imperia. Nel dicembre del 1943, di ritorno da una missione a Genova per incontrare alcuni rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale, viene arrestato dall’ufficio politico investigativo della Guardia Nazionale Repubblichina. Ricci viene rinchiuso prima nel carcere di Imperia poi in quello di Savona, dove viene sottoposto a interrogatori e torture. A inizio 1944 viene preso in consegna dalle SS e trasferito nella IV sezione del carcere genovese di Marassi, destinata ai detenuti politici. Qui assiste alla fucilazione di due compagni di cella poi, nel maggio del 1944, finisce al campo di Fossoli, centro di raccolta per ebrei e prigionieri politici destinati alla deportazione nei lager nazisti.
Ricci raggiunge il lager di Mauthausen alla fine del giugno 1944 e vi rimane sino alla liberazione del campo, avvenuta il 5 maggio 1945. 
Anche Raimondo Ricci, come Carlo Smuraglia, assumerà la carica di presidente nazionale dell’Anpi, dal 2009 al 2011.

Chi ha un ruolo fondamentale come combattente partigiano è Lionello Riso Levi. Anch’egli studente di giurisprudenza, arriva a Pisa nel 1932 quando il dissenso al regime è praticamente azzerato. Eppure Levi lavora per anni sottotraccia e, dopo l’armistizio, è tra gli animatori del movimento partigiano in Val Camonica. Come nome di battaglia sceglie quello di ‘Sandro’ e si distingue per alcune azioni di guerriglia che lasceranno un’impronta nella storia della Resistenza bresciana, come l’assalto al presidio della GNR di Bienno: Levi è uno dei sette partigiani travestiti da tedeschi che catturano ventuno militi fascisti e si impossessano di armi e munizioni. Nel luglio del 1944 diventa diviene vicecomandante e commissario politico della Divisione Fiamme Verdi “Tito Speri” poi, nel febbraio del 1945, viene paracadutato nella zona del Passo del Mortirolo dove, alla guida di 220 uomini, conduce le due vittoriose battaglie del Mortirolo contro i nazifascisti, guadagnandosi la Medaglia d'Argento al Valor Militare.


I medici partigiani

Se il collegio per gli studi giuridici è una fucina di futuri antifascisti, anche il Collegio Nazionale Medico non è da meno. Tra i giovani che scelgono ‘la strada della montagna’, i medici svolgono un ruolo fondamentale: non solo combattenti, ma anche ‘primo soccorso’ per le compagne e i compagni feriti nelle battaglie. Giovanni Lenci è uno di questi: nasce a Pisa nel 1921 ed entra al Collegio Nazionale Medico esattamente a venti anni. Il suo contributo alla Resistenza si concentra in Emilia Romagna dove entra a far parte del servizio sanitario del battaglione di Libero Golinelli della 36a brigata Bianconcini Garibaldi incorporato nell'8° Armata. È qui che partecipa agli ultimi scontri con i tedeschi e alla liberazione di Imola, che avviene il 14 aprile 1945.

Di un altro studente di Medicina, Eduino Fellin, si hanno cenni come appartenente alla brigata ‘Casarosa’, la più importante formazione partigiana che opera sui monti Pisani tra giugno e settembre 1944. Chiudiamo con Luigi Marrone, aquilano classe 1914, iscritto al Collegio Nazionale Medico di Pisa dall’anno accademico 1939/1940. Dopo l’8 settembre, Marrone torna in Abruzzo e qui si lega alla brigata partigiana Duchessa che opera nella zona di Lucoli, nel raggruppamento del Gran Sasso.


Il ritratto di un’epoca

La tradizione antifascista di una città come Pisa è strettamente legata alle vicende della sua Università. Il Collegio Mussolini e il Collegio Nazionale Medico ne sono due testimonianze. La forza delle libere idee prevale sulla dittatura e, proprio nei luoghi voluti dal regime per formare la nuova classe dirigente fascista, sono nati i primi germi di quella che sarà la Resistenza italiana.